MusicaLove Stories
Fantasia d'Amore : Amore irriducibile
Christoph Willibald GLUCK (1714-1787)
“Che farò senza Euridice?” (dall'opera Orfeo ed Euridice)
L’amore è un sentimento forte, travolgente ed esclusivo. A chi lo prova è difficile far credere che esistano altre esperienze interiori altrettanto intense per cui vale la pena di vivere. È la sua prepotenza a far pronunciare agli innamorati frasi esagerate del tipo “Senza di te non potrei vivere”, “Sei per me come l’aria che respiro” oppure “Pur di starti sempre accanto, accetterei di trascorrere l’intera mia esistenza in una topaia”.
Fra le tante esagerazioni a cui la mente umana si abbandona quando è invasa dall’amore, una delle più ricorrenti è la convinzione che esso sia del tutto estraneo alle leggi naturali a cui non può invece sottrarsi chi ne è posseduto. In altre parole, chi è innamorato crede che il sentimento da cui è dominato non invecchi, non muoia e, di conseguenza, viva immutato in eterno. Si tratta di un’idea molto antica e non è un caso che le mitologie dei Greci e dei Romani rappresentassero l’amore (Eros/Cupido) attraverso la figura simbolica di un bambino o di un giovinetto.
La cultura classica greco-latina ci ha lasciato eredi di una leggenda emblematica riguardo alla pretesa degli innamorati di affermare l’irriducibilità, l’incorruttibilità e l’immortalità del loro Supersentimento. È la storia di Orfeo, mitico cantore di Tracia, il quale, non riuscendo a darsi pace a causa della morte di Euridice, sua adorata consorte, arriva a sfidare gli dei e le leggi dell’Oltretomba, pur di tentare di riportarsela a casa. La prova che gli viene chiesto di sostenere per poter conseguire l’ambito risultato è quanto mai ardua: guidare la moglie dagli abissi dell’Ade verso la superficie della Terra dei Vivi senza mai voltarsi a guardarla e senza rispondere alle sue languide invocazioni d’amore. Ma alla fine, purtroppo, la perseveranza non viene premiata. Orfeo fallisce per troppo amore: non riuscendo a resistere ai richiami di Euridice, la perde per sempre.
Fra i numerosi poeti antichi che diedero forma letteraria a questo mito spicca il nome di Ovidio, che ne scrisse nelle proprie Metamorfosi. Storicamente più vicine a noi (e con happy end) sono invece alcune versioni melodrammatiche di quella stessa vicenda d’amore. Celeberrima è l’opera che ricavò il compositore boemo Christoph Willibald Gluck nel 1762 musicando versi del poeta italiano Ranieri de’ Calzabigi. L’aria più famosa del suo Orfeo ed Euridice è quella in cui il mitico cantore si domanda come potrà vivere col cuore straziato dalla morte dell’amatissima moglie:
L’amore è un sentimento forte, travolgente ed esclusivo. A chi lo prova è difficile far credere che esistano altre esperienze interiori altrettanto intense per cui vale la pena di vivere. È la sua prepotenza a far pronunciare agli innamorati frasi esagerate del tipo “Senza di te non potrei vivere”, “Sei per me come l’aria che respiro” oppure “Pur di starti sempre accanto, accetterei di trascorrere l’intera mia esistenza in una topaia”.
Fra le tante esagerazioni a cui la mente umana si abbandona quando è invasa dall’amore, una delle più ricorrenti è la convinzione che esso sia del tutto estraneo alle leggi naturali a cui non può invece sottrarsi chi ne è posseduto. In altre parole, chi è innamorato crede che il sentimento da cui è dominato non invecchi, non muoia e, di conseguenza, viva immutato in eterno. Si tratta di un’idea molto antica e non è un caso che le mitologie dei Greci e dei Romani rappresentassero l’amore (Eros/Cupido) attraverso la figura simbolica di un bambino o di un giovinetto.
La cultura classica greco-latina ci ha lasciato eredi di una leggenda emblematica riguardo alla pretesa degli innamorati di affermare l’irriducibilità, l’incorruttibilità e l’immortalità del loro Supersentimento. È la storia di Orfeo, mitico cantore di Tracia, il quale, non riuscendo a darsi pace a causa della morte di Euridice, sua adorata consorte, arriva a sfidare gli dei e le leggi dell’Oltretomba, pur di tentare di riportarsela a casa. La prova che gli viene chiesto di sostenere per poter conseguire l’ambito risultato è quanto mai ardua: guidare la moglie dagli abissi dell’Ade verso la superficie della Terra dei Vivi senza mai voltarsi a guardarla e senza rispondere alle sue languide invocazioni d’amore. Ma alla fine, purtroppo, la perseveranza non viene premiata. Orfeo fallisce per troppo amore: non riuscendo a resistere ai richiami di Euridice, la perde per sempre.
Fra i numerosi poeti antichi che diedero forma letteraria a questo mito spicca il nome di Ovidio, che ne scrisse nelle proprie Metamorfosi. Storicamente più vicine a noi (e con happy end) sono invece alcune versioni melodrammatiche di quella stessa vicenda d’amore. Celeberrima è l’opera che ricavò il compositore boemo Christoph Willibald Gluck nel 1762 musicando versi del poeta italiano Ranieri de’ Calzabigi. L’aria più famosa del suo Orfeo ed Euridice è quella in cui il mitico cantore si domanda come potrà vivere col cuore straziato dalla morte dell’amatissima moglie:
Che farò senza Euridice,
che farò senza il mio bene?
Verità d'Amore: Harriet e Hector
amore a tutti i costi
Hector BERLIOZ (1803-1869)
Marche au supplice dalla Symphonie fantastique Op. 14, per orchestra
Nei libri di storia della musica, il francese Hector Berlioz viene spesso indicato come l’iniziatore di una moda diffusasi in tutta Europa a partire dalla seconda metà dell’Ottocento: fu infatti il primo compositore ad esprimere i propri pensieri, sentimenti e fantasie attraverso orchestre di eccezionale ampiezza. Una di queste fu da lui impiegata già agli inizi della propria carriera artistica, per raccontare al mondo e ai posteri l’ostinazione del sentimento d’amore provato per un’attrice irlandese, Harriett Smithson, ammirata sulle scene di Parigi nel ruolo di Ofelia, il principale personaggio femminile della tragedia Amleto di Shakespeare. Apprezzarne il talento teatrale ed innamorarsene all’istante fu tutt’uno per l’esuberante Berlioz. Correva l’anno 1827 e il musicista, con tutta la forza del suo narcisismo e della sua megalomania, cominciò a fare una corte serrata all’affascinante signorina Smithson, di lui un poco più anziana (era nata nel 1800). Gli ci vollero sei anni per avere ragione della sua ritrosia e per condurla all’altare, nel 1833; ma, dopo averla sposata, dovette accorgersi che la vita matrimoniale le si addiceva ben poco. Le toccava starsene lontana dal palcoscenico e ciò la rattristava parecchio, a tal punto da cercare consolazione nell’alcool. Harriett morì nel 1854, non prima di aver reso padre Hector; questi, quasi immediatamente, si riammogliò. Nel frattempo però, per la gioia di tutti i posteri appassionati di musica per grande orchestra, era nata e aveva cominciato a mietere successi la Sinfonia fantastica.
Composta nel 1830, tre anni prima del coronamento del travolgente sogno d’amore del suo autore, la Sinfonia fantastica racconta in cinque movimenti gli ostinati quanto infruttuosi tentativi di Hector di conquistare il cuore della bella Harriett. Negli ultimi due episodi, la straordinaria tavolozza di suoni dell’orchestra dipinge l’immagine di un innamorato ormai preda della disperazione: respinto da colei che vanamente ama, il poveretto cerca conforto nel fumo dell’oppio e viene assalito da visioni paurose e da incubi. Sogna di uccidere colei che gli si nega e di essere, di conseguenza, arrestato e condannato a morte. Come non bastasse, una volta ghigliottinato, la prospettiva dell’eterna dannazione gli viene preannunciata dall’apparizione di una ridda di streghe e demoni e, mentre viene minacciato da quella turba infernale, sente prender forma la cupa melodia del Dies irae, l’antico canto medioevale con cui, nelle chiese, si incuteva ai fedeli il terrore del giorno del Giudizio Universale.
Nei libri di storia della musica, il francese Hector Berlioz viene spesso indicato come l’iniziatore di una moda diffusasi in tutta Europa a partire dalla seconda metà dell’Ottocento: fu infatti il primo compositore ad esprimere i propri pensieri, sentimenti e fantasie attraverso orchestre di eccezionale ampiezza. Una di queste fu da lui impiegata già agli inizi della propria carriera artistica, per raccontare al mondo e ai posteri l’ostinazione del sentimento d’amore provato per un’attrice irlandese, Harriett Smithson, ammirata sulle scene di Parigi nel ruolo di Ofelia, il principale personaggio femminile della tragedia Amleto di Shakespeare. Apprezzarne il talento teatrale ed innamorarsene all’istante fu tutt’uno per l’esuberante Berlioz. Correva l’anno 1827 e il musicista, con tutta la forza del suo narcisismo e della sua megalomania, cominciò a fare una corte serrata all’affascinante signorina Smithson, di lui un poco più anziana (era nata nel 1800). Gli ci vollero sei anni per avere ragione della sua ritrosia e per condurla all’altare, nel 1833; ma, dopo averla sposata, dovette accorgersi che la vita matrimoniale le si addiceva ben poco. Le toccava starsene lontana dal palcoscenico e ciò la rattristava parecchio, a tal punto da cercare consolazione nell’alcool. Harriett morì nel 1854, non prima di aver reso padre Hector; questi, quasi immediatamente, si riammogliò. Nel frattempo però, per la gioia di tutti i posteri appassionati di musica per grande orchestra, era nata e aveva cominciato a mietere successi la Sinfonia fantastica.
Composta nel 1830, tre anni prima del coronamento del travolgente sogno d’amore del suo autore, la Sinfonia fantastica racconta in cinque movimenti gli ostinati quanto infruttuosi tentativi di Hector di conquistare il cuore della bella Harriett. Negli ultimi due episodi, la straordinaria tavolozza di suoni dell’orchestra dipinge l’immagine di un innamorato ormai preda della disperazione: respinto da colei che vanamente ama, il poveretto cerca conforto nel fumo dell’oppio e viene assalito da visioni paurose e da incubi. Sogna di uccidere colei che gli si nega e di essere, di conseguenza, arrestato e condannato a morte. Come non bastasse, una volta ghigliottinato, la prospettiva dell’eterna dannazione gli viene preannunciata dall’apparizione di una ridda di streghe e demoni e, mentre viene minacciato da quella turba infernale, sente prender forma la cupa melodia del Dies irae, l’antico canto medioevale con cui, nelle chiese, si incuteva ai fedeli il terrore del giorno del Giudizio Universale.
Amore irriducibile Christoph Willibald Gluck Danilo Faravelli Dies Irae Fantasie d'Amore Harriet Smithson Harriett e Hector Love Orfeo ed Euridice Sinfonia fantastica Verità d'Amore