La musica al tempo dei normanni in Italia meridionale
Le contaminazioni culturali fanno identità e le civiltà “pure” non sono mai esistite. Non è politica… è storia: storia dell’arte, della letteratura, della musica.
Se infatti nel nostro ultimo post vi abbiamo parlato di musica norvegese contemporanea, questa volta invece vorremmo segnalarvi un paio di pregevoli articoli che ci introducono al mondo multiforme della Sicilia normanna e svevo-normanna (fine XI secolo – prima metà del XIII) e che lo fanno parlando di musica e poesia, di tradizioni intrecciate e di integrazioni culturali.
Federico II, re di Sicilia e imperatore, era figlio di Enrico VI della casata sveva degli Hohenstaufen e della regina normanna Costanza d’Altavilla. Appassionato di poesia e musica provenzale e dei menestrelli di origine germanica, detti “minnesänger”, di danza e strumenti tradizionali arabi come il liuto e di filosofia, Federico è stato un vero e proprio mecenate e catalizzatore di culture, lingue e religioni che hanno fatto di Palermo, capitale del regno e dell’impero, il fulcro non solo del Mediterraneo ma dell’Europa intera. Alla sua corte si è formata quella che i manuali di storia della letteratura chiamano ancora oggi “scuola siculo-toscana” e si sono tradotte dall’arabo in latino, restituendole alla civiltà occidentale, le opere di Aristotele e dei suoi maggiori commentatori e filosofi arabi divenute ben presto gli irrinunciabili testi di studio delle università italiane ed europee.
Non è una novità del resto che la Sicilia, la Puglia e la Calabria, ove i navigatori migranti scandinavi si insediarono durante l’XI secolo, anche nel lungo periodo precedente all’avvento al trono di Federico II, fosse stata contraddistinta da governi tolleranti nei confronti di musulmani ed ebrei, nonostante la convinta fede cristiana dei nuovi dominatori, di cui sono testimonianza ad esempio i numerosi racconti popolari che narrano dell’amicizia tra il conte Ruggero I d’Altavilla e San Bruno (o San Brunone), eremita assai venerato in Calabria e di cui una ballata popolare racconta l’incontro e la conversione del nobile normanno. Probabilmente negli anni ’90 dell’XI secolo, in Calabria, presso S. Maria della Torre, Ruggero durante una battuta di caccia scopre grazie ai propri cani la caverna in cui S. Bruno era ritirato in preghiera e ne rimane colpito. Uno dei canti popolari ricorda così quell’incontro:
“Chi va juntandu comu nu ‘jumentu
Pigghia di carchi Dio di carchi santu.
«Dimmi ti chi fai jocu o faggimentu».
«Conti Ruggeri mu chiama ‘ssi cani
Ca su lu frati Bruno veramenti».
«Mentri chi si frati Bruno veramente
Come stai ritiratu a chissi canti?»
Nu conti Ruggeri miu, si mi voi beni
Na chiesiola mi avarissi fari?
La chiesiola di Santa Maria
Sempre a lu mundu mu pregu pe tia”
L’articolo che vi proponiamo, A cura di Concetta Formisano e Annamaria Tortorella Esposito, offre anche il testo di una canzone scritta dallo stesso Federico II di Svevia, con un link di youtube per l’ascolto della versione realizzata dall’Ensamble Setar, specializzato nel repertorio della musica antica e tradizionale siciliana.
Ecco l’articolo:
LA MUSICA ALLA CORTE DI FEDERICO II
A tal proposito è bene ricordare sempre che, sia per le musiche dei trovatori e dei trovieri, sia – e anzi a maggior ragione – per quelle della coeva produzione del regno federiciano, disponiamo di scarsi documenti in notazione musicale antica, motivo per cui le esecuzioni che si ascoltano oggi sono in buona parte delle ricostruzioni, quando non addirittura riconducibili a melodie composte in età posteriori.
Le fonti principali a cui attingono oggi i musicisti e gli storici della musica che tentano di riportare alla luce e alla vita quelle melodie e quei canti così lontani nel tempo sono, per quanto riguarda in particolare il mondo musicale siciliano da Ruggero I d’Altavilla a Federico II, i resoconti dei cronisti dell’epoca, la ricca iconografia della Cappella Palatina di Palermo da cui si evincono informazioni importanti sul carattere festoso delle celebrazioni liturgiche e sugli strumenti utilizzati, una serie di manoscritti conservati a Madrid e noti con il nome di “tropari siculo-normanni”, recanti i testi a carattere religioso e in alcuni casi le melodie su di essi composte; da ultimo, ma non meno importante, il repertorio ancora vivo dei canti popolari.
Per chi volesse sapere qualcosa di più, segnaliamo un articolo più specifico, scritto da Roberto Bolelli e reperibile al seguente link: FESTE E CANTI DELLA SICILIA NORMANNA
E’suggestivo e affascinante, quasi un’opera da detective, provare ad affacciarsi su questo mondo, se non altro per rimanere con qualche curiosità in più e con lo stimolo a cercare risposte ulteriori. Rimane, su tutto, il fascino magico di quel che resta della musica medievale e del nostro incontro del sud con le civiltà araba, bizantina e scandinava.
Buona lettura da PalinSesto!
Antonio Panzera
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