Gåte - Gjendines Bånsull
“Il bambino, coricato alla nanna,
a volte piange e ride, ride a volte.
Dormi, dormi, nel nome di Gesù,
Gesù mi protegga il bambino.
La mamma mi prende sulle sue ginocchia,
danza piano con me, avanti e indietro,
così, con il piccolo danza,
così danza, ed allora il suo bimbo dormirà.”
(Gjendines Bånsull)
Anno 1999. Il Nidelva, indifferente, come sempre si getta nel fiordo di Trondheim e la fortezza di Kristiansen di lontano sembra far la guardia alla città, la maggiore di tutto il Trøndelag. Tuttavia non c’è nulla che davvero debba succedere. Non vi sono i tartari che sollevano polveroni all’orizzonte con il brulicare delle loro armate, né vascelli di pirati, poiché il loro tempo è passato e, anche se non lo fosse, in realtà gli uomini del mare da qui sono partiti per arrivare persino giù giù, nel nostro mar Mediterraneo.
Ora però non è più tempo. Pare non ci sia niente di nuovo ad aleggiare intorno. C’è soltanto l’aurora boreale con il suo chiarore color dell’oro, c’è il famoso sole di mezzanotte, certo, quando c’è, ma per la gente di qui tutto è normale. Solo il turista se ne stupisce quando arriva.
Al Solsiden, da quando pochi anni fa hanno dismesso i vecchi impianti industriali, gli studenti spesso si ritrovano, come fanno i ragazzi e le ragazze di mezzo mondo, per parlare, per bere un sidro, per corteggiarsi o mandarsi a quel paese. Insomma, niente di strano, almeno pare.
Sì, è vero, siamo quasi nel Duemila ed il re è ancora primo cavaliere dell’Ordine di Sant’Olav. I suoi nonni arrivarono in Norvegia solo 93 anni prima. Questo è un paese insolito, curioso, il cui presente è incastonato come una gemma tra l’antico e il moderno.
In questo stesso anno Knut Buen ha ricevuto il titolo di cavaliere non grazie a quanto e come abbia saputo tirar bene di spada (da queste parti oggi le spade non si usano più), ma il suo violino. Chi lo ha sentito all’opera almeno qualche volta conosce l’aria ironica e scanzonata con cui Knut, arzillo e anziano, introduce a volte le proprie esibizioni, con il gusto di strappare una risata al pubblico. La sua maestria sull’hardangerfele, il violino dell’Hardanger, è ipnotica.
Knut Buen – Sagafossen
Del resto anche l’Artico è terra di sciamani, che usano voci, tamburi e in generale la musica per esplorare le profondità dello spirito. Sono parecchie le leggende di violinisti del passato caduti in trance mentre suonavano. Probabilmente c’è qualcosa di vero in tutto ciò: l’hardangerfele ha un ponticello più basso, che permette all’esecutore di suonare con molta più facilità diverse corde contemporaneamente. Di qui il frequente stile “a bordone”, tipico anche delle interpretazioni di Knut Buen, per non contare la presenza di corde di risonanza che conferiscono a questo strumento una sua particolare aura armonica e ipnotica.
Sweinung Sundli ha vent’anni quando Knut riceve da Harald V l’investitura a cavaliere di S. Olav. Pur essendo nato e vissuto sempre nel Trøndelag, dove l’Hardangerfele, con la sua testa di leone, gli intarsi del cavigliere e le decorazioni a volte in madreperla della tastiera, non è molto diffuso, Sweinung se ne appassiona. Dalle sue parti invece il violino folk, quello che gli inglesi chiamano “fiddle”, è in tutto simile al violino classico, che Sweinung ha imparato a suonare ad Orkdal, dove viveva con la sorella ed il resto della famiglia prima di trasferirsi a Trondheim. Eppure, se ascoltate ad esempio l’assolo strumentale di “Bruremarsj frå Jämtland”, melodia composta appositamente da Buen per la band di Sweinung, non potrete non notare che è come se di violini ne stiano suonando due in una volta sola: ecco, quello è l’effetto tipico dell’hardangerfele.
Gåte - Bruremarsj frå Jämtland
Sempre a Trondheim, Sweinung Sundli ha completato la sua formazione musicale dedicandosi anche alle tastiere elettroniche e convertendosi al rock senza tuttavia perdere le suggestioni del folk che non lo ha mai abbandonato. Esempio di questo crocevia tra antico e moderno è il suo frequente ricorso, oltre che al violino acustico, anche a quello elettrico.
Così, a vent’anni, dopo esser riuscito a convincere la sorellina Gunnhild, ancora quattordicenne, ad esibirsi in pubblico, fonda assieme a lei una band originalissima e potentemente scandinava nelle sonorità, nei testi, nelle atmosfere e nelle radici, “Gåte”, che in norvegese significa “enigma”. Dicono che Sweinung arriverà addirittura a tatuarsi la “G” iniziale su un braccio.
La band nasce all’insegna del metal, ma Gunnhild, vocalist di prim’ordine, è cresciuta con una formazione musicale piuttosto eclettica, che spazia dalla classica al jazz, anche lei però fortemente radicata nella musica tradizionale norvegese, come dimostra con evidenza l’articolazione della sua vocalità. Si diploma in canto presso la “Heimdal videregående skole”. La sua voce è su un registro decisamente acuto, un soprano sottile e potente, versatile, capace di stupire con le grida disperate e graffianti che talvolta vibrano nell’impasto timbrico della sua band o con la dolcezza del suo disegno melodico.
Membri storici del gruppo, oltre ai fratelli Sundli, sono Magnus Børmark alla chitarra elettrica e al sintetizzatore, Gjermund Landrø al basso e Martin Viktor Langlie alla batteria, solo più tardi sostituito da Kenneth Kapstad.
“Gammel” è il titolo del loro primo EP, pubblicato come artisti indipendenti. In seguito al contratto con la Warner Music, nel 2002 esce il secondo EP, “Gåte”, poi il loro album di debutto, “Jigri”, che li ha resi decisamente famosi e ha guadagnato alla band il disco di platino con quarantamila copie vendute in Norvegia e il locale Spellemanprisen. Seguono un altro EP, “Statt opp” e il travolgente singolo “Sjaattende” nel 2003, poi incluso nel successivo album del 2004, “Iselilja”.
Gåte - Sja Attende
Il successo galoppa a perdifiato e dalla Norvegia li trascina per una breve tournée in Germania. Il fenomeno pare inarrestabile e la formula vincente di questo “enigma” sta probabilmente nella originale fusione di antico e moderno, di tradizioni popolari e di musica elettronica, di melodie nitide e rock duro, sferzante, oppure cupo, dolce, malinconico, nel dialogo continuo con la sapienza degli anziani. Vate ispiratore, infatti, di alcuni dei loro brani è il prof. Astrid Krog Halse, insegnante a Trondheim di lettere al liceo e poeta originario della città di Meldal, alla quale ha dedicato anche una raccolta di poesie dialettali. Nato nel 1914, Astrid ha pubblicato nel corso della sua carriera letteraria undici raccolte di poesie. Vari musicisti norvegesi hanno intonato i suoi versi che per la ritmica e le assonanze si prestano ad essere cantati. Sei delle sue liriche sono state musicate da Sweinung Sundli per i Gåte nei due album “Jigri” e “Iselilja”.
Gåte
Sjaaren
“La terra, dicevi, deve seguire il suo corso,
ad ogni passo degli umani l’erba crescerà comunque.
La vita, dicevi, non finirà mai,
rimarrà un seme e un fiore schiuderà i suoi petali.
La morte, dicevi, è la ladra che tutto rovina,
ed ancora, quale via prenderà nessuno sa.
Le persone, dicevi, non possono mai essere libere,
quando fan di se stesse schiave perenni del tempo.
L’eternità, dicevi, non domandarmene mai,
è qui che, a ciascuno, di decidere tocca una via.
La pace, dicevi, ti manca davvero?
La troverai nella foresta della terra che non è di nessuno.”
(“Sjaaren”, da “Iselilja”)
Di carattere completamente diverso è invece questa ballata, sempre tratta da una poesia di Halse dal titolo “Du som er ung”, che nella sua vocazione alla pace e alla convivenza dei popoli ci lascia intravedere il legame di speranza tra vecchie e nuove generazioni, direttamente complementare al radicamento di molti giovani artisti norvegesi nella tradizione della propria terra:
“Tu che sei giovane,
porta il messaggio se il fardello è pesante.
Non devi deluderci, tu che sei giovane.
Non ascoltarli se gridano che tu sei un codardo.
Se la tua chioma vacilla, la tua radice allora è salda.
Lascia il pensiero di pace colmare intera la tua mente
E non lasciarti della tua forza stessa dubitare.
Nessuno costruirà mai con le armi in mano.
Qui non si tratta di come tenersi una terra che è di altri.
Proteggeremo la vita lungo il cammino su cui andiamo.
Nessuno può mietere dove la morte ha seminato.
Il fiore sboccerà, crescerà l’erba,
con il sangue non guasteremo noi la terra.”
Gåte
Du som er ung
Notevole anche la reinvenzione della ballata tradizionale “Jomfruva Ingebjor”, che è la traccia immediatamente successiva a “Du som er ung” nell’album “Iselilja”. I due brani sono anche stati volutamente collegati da un ponte a improvvisazione sul registro grave e tenebroso degli archi. Del testo originale, giunto ai giorni nostri in molte differenti versioni della lunghezza di 15-20 versi, i Gåte ne hanno ripresi soltanto sei, per adattarlo alle esigenze di sintesi della canzone moderna, il che è evidentemente stato reso possibile dal fatto che la ballata in questione è molto nota in Norvegia e che tale operazione di estrapolazione delle strofe non ha impedito di riconoscerne le parole e la trama: il giovane e coraggioso Herre-Per, privato della sua promessa sposa dall’incantesimo di una matrigna che ha tramutato la fanciulla dapprima in una cerva selvatica e poi in un’aquila, ne cerca disperatamente le tracce nell’antica foresta di tigli e riesce a ritrovare l’amata e a spezzare la magìa soltanto dopo aver donato al bosco alcune gocce del proprio sangue. La versione proposta dai Gåte è resa particolarmente toccante dal tema melodico della strofa e dalla commossa dolcezza della voce di Gunnhild che spicca anche grazie al misurato e abile arrangiamento costruito dalla batteria e dalle chitarre nel moto perpetuo del loro accompagnamento, quasi in sordina, prima dell’esplosione decisamente rock del ritornello. Sorprende il lungo finale strumentale che unisce sapientemente il carattere popolare degli strumenti ad arco con le sonorità elettro-metal.
Gåte - Jomfruva Ingebjor
Di carattere ben più “eroico” e scatenato è “Rike Rodenigår”, anch’essa ispirata a una ballata tradizionale e il cui ritmo sembra voler evocare la cavalcata epica del protagonista:
Gåte - Rike Rodenigår
Un’altra leggenda popolare norvegese è raccontata in “Margit Hjuske”, una versione scandinava della ben nota favola de “La bella e la bestia”, che i Gåte rivisitano attraverso una serie di intermezzi rock-metal, mantenendo la struttura strofica di un’unica stanza melodico-drammatica. In questo brano la voce di Gunnhild è molto teatrale ed espressiva, pare a tratti imitare le voci e i caratteri dei diversi personaggi: la giovane Margit incontra sul proprio cammino un gigante della montagna che la fa sua sposa e al quale darà tre figli. La nostalgia della casa paterna però la spingerà a pregare il mostro di permetterle di far visita al padre. Tuttavia il ritardo nel ritorno scatenerà l’ira del soprannaturale marito che le ordina di non tornare mai più. Storie come queste ci svelano una profonda sensibilità popolare verso le sofferenze e le debolezze umane, trasfigurate attraverso caratteri fiabeschi: l’ira del gigante è in realtà l’insicurezza e la paura di non essere amato perché deformato dai tratti bestiali; il desiderio ardente di rivedere il padre è per Margit il dolore stesso di essersi allontanata troppo presto dalla propria famiglia senza dar più notizia, è il dolore più umano della distanza dai cari. Gunnhild rivela qui la sua vocazione di attrice che realizzerà soltanto qualche anno più tardi, dopo aver lasciato il gruppo e posto fine all’avventura dei Gåte. La canzone ha un carattere piuttosto ruvido e struggente ed è senza dubbio una delle più lunghe (8 minuti circa) dell’album “Jigri”.
Gåte - Margit Hjuske
Il viaggio dei Gåte nella tradizione dei cantastorie norvegesi ci permette di apprezzare e segnalare anche un canto popolare di cui la band ha fornito una versione fedele non solo nel testo ma anche nella linea melodica.
Qui possiamo ascoltare la loro rivisitazione di “Bendik og Arolilja”, una delle più celebri leggende d’amore contrastato: i due innamorati, Bendik e Arolilja sono destinati a morire a causa dell’orgoglioso re, padre della ragazza, che decide di far catturare e uccidere Bendik nonostante le suppliche della propria moglie. Arolilja si suiciderà sull’altare della cattedrale di Trondheim. Nella chiesa verranno sepolti i due amanti e dalle loro tombe cresceranno due piante di giglio che si intrecceranno in segno dell’eternità e invincibilità dell’amore. La trama è stata nel corso dei secoli rimaneggiata più volte, anche accogliendo spunti e suggestioni dal poema su Tristano e Isotta di Goffredo di Strasburgo, sino alla versione definitiva del XVIII secolo. Quella che abbiamo brevemente raccontato proviene dalla regione del Telemark.
Gåte - Bendik og Arolilja
Vale la pena di ascoltare anche uno degli arrangiamenti più tradizionali che vi offriamo qui nella versione di Bukkene Bruse, sempre sulla stessa melodia composta nel 1882 da Ingar Bøhn. Dal confronto non potrà che emergere il modo incredibile con cui i Gåte sono stati capaci di mantenersi fedeli alla melodia tradizionale pur trasformandone completamente il carattere in una canzone rock che, per chi non conoscesse l’originale, non farebbe mai pensare a un brano folk:
Bukkene Bruse – Bendik og Arolilja
Tuttavia, parlare della storia dei Gåte significa anche parlare della storia, appunto, di un “enigma”. Il 12 novembre 2012 la rivista on line “Dagbladet” pubblica un’intervista dal titolo “L’enigma Gunnhild”, realizzata in un caffè di Oslo, nella quale, a tu per tu con l’allora ventisettenne artista, ex vocalist della band, vengono ripercorse le ragioni della fine di un’esperienza musicale che nelle intenzioni di Sweinung e degli altri membri del gruppo sarebbe stata probabilmente lanciata nel resto d’Europa.
“Avevo perso la mia fiducia nelle certezze della vita.” Spiega Gunnhild in un mare di riccioli, “Qualcosa si è spezzato. Un momento prima sono in scena a Roskilde, di fronte a un mare di gente che ci chiama per nome. Gåte è una delle band più popolari e l’album di debutto vende 40.000 copie, vincitore dello Spellemanprisen, in cima alle classifiche. Un momento dopo sei malato e distrutto in un minibus sulla strada di casa. Il gioco è fatto. Un momento prima sei tra le braccia di chi ami e pensi che sarà per sempre così, e un momento dopo …”
Gunnhild ricorda il dolore per il divorzio dei suoi genitori alcuni anni prima, proprio lei che non pensava sarebbe mai potuto succedere e dice che da allora il realismo si è insinuato “come un bastardo sulla spalla”, per costringerla a poco a poco ad accoglierlo e riconciliarvisi, fino addirittura, come dice Gunnhild sorridendo, a farci amicizia. Così, la fine della sua storia d’amore e l’abbandono della band fondata col fratello sono stati per lei l’inizio di una nuova vita anche artistica e hanno segnato la sua rinascita come autrice di testi e di musiche.
Nel 2005, quando decide di abbandonare i Gåte, è una ragazza che sta appena uscendo dall’adolescenza. La sua carriera precoce e fitta di impegni la sottopone a uno stress difficile da sopportare per una persona sensibile come lei e così, quella sera a Roschilde, con lei in abito blu e il boato della folla che reclama l’inizio del concerto, Gunnhild comprende di non poter più andare avanti così: è stanca, esausta, e ha bisogno di staccare e riflettere. Sulla via del ritorno, nel pulmino, con gli strumenti ormai caricati assieme ai bagagli, ascolta Magnus e Sweinung che parlano di incidere un nuovo album. “Non posso!” replica lasciando il fratello spiazzato, che le rinfaccia che tutti vorrebbero occupare il suo posto e la accusa di essere ingrata e capricciosa. Ma la decisione ormai è stata presa e Gunnhild si sente sollevata: non tornerà più indietro. Ha diciotto anni.
La band inciderà con lei nel 2006 un ultimo album, “Liva”, registrato in concerto con i brani più famosi e rappresentativi della band, ma Gunnhild si dedicherà in seguito al teatro e inciderà a partire dal 2012 anche qualche singolo e album da solista.
In uno dei diari da lei ritrovati facendo le pulizie di casa e che risalgono al tempo in cui i suoi genitori stavano divorziando, ossia quando Gunnhild era ancora una bambina di dieci anni, riscopre di aver scritto queste parole:
“Capisco che non capisco tutto. Ma capisco anche che ho capito più di quanto gli adulti pensano abbia capito “.
Una luce fra queste tortuose strade della vita la conduce infine, a ventisette anni suonati, a dichiarare di aver compreso che la felicità è soltanto in se stessi, a prescindere dall’avere o non avere accanto una persona da amare.
Forse un enigma risolto?
E chi lo sa… la vita scorre comunque, Sweinung organizza festival musicali e fonda un’altra band, ma come sempre, nell’impermanenza di ogni cosa, il Nidelva continua ancora oggi a tuffarsi nelle acque del fiordo di Trondheim.
Antonio Panzera
Fonti
- La musica popolare in Norvegia. Traduzione dall’inglese di Elena Gozzer da un testo di KIRSTEN HAALAND: www.evolusuoni.it/scandinavia/musnorv.htm
- Su Knut Buen: https://en.wikipedia.org/wiki/Knut_Buen
- Su Astrid Krog Halse: https://no.wikipedia.org/wiki/Astrid_Krog_Halse
- Per la discografia e la storia della band mi riferisco all’articolo di Raffaella Berri: http://www.progarchives.com/artist.asp?id=4263
- Notizie sulla formazione musicale e sul debutto dei fratelli Sundli: www.europopmusic.eu/Scandanavia_pages/Gaate.html
- L’intervista a Gunnhild Sundli del 2012: http://www.dagbladet.no/2012/11/12/magasinet/gunnhild_sundli/gate/24318506/
- Il blog ufficiale di Gunnhild Sundli: www.gunnhildsundli.no/
- Per le traduzioni delle liriche di Astrid Krog Halse mi sono basato sul confronto tra alcune versioni in inglese presenti sulla rete.
- Per le trame delle ballate tradizionali di “Jomfruva Ingebjor”, e “Margit Hjuske” e per la traduzione di “Gjendines Bånsull” ho utilizzato versioni in inglese reperibili sulla rete.
- Di fondamentale importanza per l’approfondimento della cultura e letteratura norvegese è stato per me il blog di Annalisa Maurantonio, al quale ho attinto soprattutto per le informazioni su “Bendik og Årolilja” e nel quale si può leggere l’intero testo della ballata anche in traduzione italiana, nonché reperire le informazioni sulla composizione della relativa melodia tradizionale:
Blog di Annalisa Maurantonio
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