L'artista deve prendere posizione?
“In considerazione della vostra ingiustizia verso la mia gente restituisco Croce Commendatore Corona d’Italia – A.R. pianista ebreo”. cf
Con queste semplici parole, nel 1938 il grande pianista Arthur Rubinstein rispedì al mittente un’onorificenza in piena protesta contro le leggi razziali. E all’alba degli anni ‘40, grandi compositori come Bela Bartok e Paul Hindemith affrontarono la sfida di un viaggio verso gli Stati Uniti pur di non avere più a che fare con un’Europa sulla quale era ormai calata l’ombra della della croce uncinata.
“In considerazione della vostra ingiustizia verso la mia gente restituisco Croce Commendatore Corona d’Italia – A.R. pianista ebreo”. cf
Con queste semplici parole, nel 1938 il grande pianista Arthur Rubinstein rispedì al mittente un’onorificenza in piena protesta contro le leggi razziali. E all’alba degli anni ‘40, grandi compositori come Bela Bartok e Paul Hindemith affrontarono la sfida di un viaggio verso gli Stati Uniti pur di non avere più a che fare con un’Europa sulla quale era ormai calata l’ombra della della croce uncinata.
Si tratta di esempi lodevoli, chiaramente. Tuttavia la storia della Musica e dell’interpretazione è altrettanto affollata di esempi che vanno in direzione opposta. Tanto per ricordarne alcuni, il grande pianista Alfred Cortot assunse incarichi ufficiali nel governo fantoccio di Vichy e si mise a dare concerti in Germania durante la guerra; Herbert Von Karajan, incline all’arrivismo già in giovane età, aderì al partito nazista e ne sfruttò gli agganci a proprio vantaggio; grandi artisti come Gieseking e Furtwängler mantennero una posizione ambivalente, che non impedì ai loro nomi di essere utilizzati dalla martellante propaganda hitleriana, a torto o a ragione (per citare il titolo di un interessante film sull’argomento).
Conviene poi stendere un velo pietoso sui compositori italiani: la stragrande maggioranza era accomunata da un’opportunistica adesione alle idee fasciste, con atteggiamenti che oscillavano tra l’appoggio più cauto di Pizzetti, l’apparente disinteresse di Respighi (che però ne accettava favori e onori) e la manifesta piaggeria di Mascagni; atteggiamenti che, in molti casi, erano dettati più dall’interesse per la propria carriera che da sincera convinzione.
Si tratta di esempi lodevoli, chiaramente. Tuttavia la storia della Musica e dell’interpretazione è altrettanto affollata di esempi che vanno in direzione opposta. Tanto per ricordarne alcuni, il grande pianista Alfred Cortot assunse incarichi ufficiali nel governo fantoccio di Vichy e si mise a dare concerti in Germania durante la guerra; Herbert Von Karajan, incline all’arrivismo già in giovane età, aderì al partito nazista e ne sfruttò gli agganci a proprio vantaggio; grandi artisti come Gieseking e Furtwängler mantennero una posizione ambivalente, che non impedì ai loro nomi di essere utilizzati dalla martellante propaganda hitleriana, a torto o a ragione (per citare il titolo di un interessante film sull’argomento).
Conviene poi stendere un velo pietoso sui compositori italiani: la stragrande maggioranza era accomunata da un’opportunistica adesione alle idee fasciste, con atteggiamenti che oscillavano tra l’appoggio più cauto di Pizzetti, l’apparente disinteresse di Respighi (che però ne accettava favori e onori) e la manifesta piaggeria di Mascagni; atteggiamenti che, in molti casi, erano dettati più dall’interesse per la propria carriera che da sincera convinzione.
Beh, a questo punto sorge spontanea una domanda: e quindi? Smettiamo forse di ascoltare I Pini di Roma di Respighi, le incisioni di Chopin di Cortot e via così? Rispondere di sì sarebbe la cosa più istintiva, ma anche quella più scontata e frettolosa. Personalmente sono convinto che arte e vita non possano mai essere scisse, e i vari inviti che qualcuno fa a distinguere la persona dall’artista non mi sono mai andati troppo a genio. Tuttavia, pensare di non fare i conti con una realtà scomoda ignorandola, condannando all’oblio le composizioni o le interpretazioni di persone che in passato si sono schierate dalla parte sbagliata della Storia, è una semplificazione pericolosa. Si tratta in fondo della stessa banalizzazione che sta alla base di certe forme di cancel culture, che tentando di insabbiare certi orrori del passato stanno inconsapevolmente creando le premesse per la loro resurrezione, sia pur sotto altre forme.
Beh, a questo punto sorge spontanea una domanda: e quindi? Smettiamo forse di ascoltare I Pini di Roma di Respighi, le incisioni di Chopin di Cortot e via così? Rispondere di sì sarebbe la cosa più istintiva, ma anche quella più scontata e frettolosa. Personalmente sono convinto che arte e vita non possano mai essere scisse, e i vari inviti che qualcuno fa a distinguere la persona dall’artista non mi sono mai andati troppo a genio. Tuttavia, pensare di non fare i conti con una realtà scomoda ignorandola, condannando all’oblio le composizioni o le interpretazioni di persone che in passato si sono schierate dalla parte sbagliata della Storia, è una semplificazione pericolosa. Si tratta in fondo della stessa banalizzazione che sta alla base di certe forme di cancel culture, che tentando di insabbiare certi orrori del passato stanno inconsapevolmente creando le premesse per la loro resurrezione, sia pur sotto altre forme.
Naturalmente, è sempre possibile fare qualche eccezione: personalmente, del Beethoven di Elly Ney (una nazista talmente convinta da rifiutarsi di soggiornare in una camera d’albergo se occupata in precedenza da ebrei) posso tranquillamente fare a meno. Ma, al di là di qualche esecrabile caso, nessuna paura! Ascoltiamo tranquillamente i nostri dischi, mantenendo alta la guardia, ma sempre con le orecchie aperte e la mente altrettanto aperta.
Una seconda domanda, che si potrebbe comunque applicare agli esempi del passato, balza invece all’attenzione ora con particolare forza, in seguito alla recente e vergognosa aggressione russa all’Ucraina.
L’affaire Gergiev-Scala, e le ultime dichiarazioni social del soprano Anna Netrebko (in sintesi: “mi oppongo a questa guerra, spero che le persone vivano in pace, ma obbligare artisti e personaggi pubblici a dar voce alle proprie opinioni politiche sul proprio paese in pubblico non è giusto“) rilanciano con forza la questione: è giusto che in circostanze come queste l’artista si schieri e faccia sentire la propria voce? Più in generale, l’artista è un personaggio pubblico?
Naturalmente, è sempre possibile fare qualche eccezione: personalmente, del Beethoven di Elly Ney (una nazista talmente convinta da rifiutarsi di soggiornare in una camera d’albergo se occupata in precedenza da ebrei) posso tranquillamente fare a meno. Ma, al di là di qualche esecrabile caso, nessuna paura! Ascoltiamo tranquillamente i nostri dischi, mantenendo alta la guardia, ma sempre con le orecchie aperte e la mente altrettanto aperta.
Una seconda domanda, che si potrebbe comunque applicare agli esempi del passato, balza invece all’attenzione ora con particolare forza, in seguito alla recente e vergognosa aggressione russa all’Ucraina.
L’affaire Gergiev-Scala, e le ultime dichiarazioni social del soprano Anna Netrebko (in sintesi: “mi oppongo a questa guerra, spero che le persone vivano in pace, ma obbligare artisti e personaggi pubblici a dar voce alle proprie opinioni politiche sul proprio paese in pubblico non è giusto“) rilanciano con forza la questione: è giusto che in circostanze come queste l’artista si schieri e faccia sentire la propria voce? Più in generale, l’artista è un personaggio pubblico?
Anche in questo caso, pur rendendomi conto che la questione è maggiormente controversa, sono convinto di sì: al di là di quanto certe mosse di marketing vogliano farci credere, l’artista non è un’entità disincarnata, ma una persona calata nel mondo, che da esso deve trarre ispirazione e che di conseguenza deve averne e trasmetterne una visione cristallina.
Nel caso specifico è poi necessario considerare un aspetto non banale: entrambi gli artisti hanno in passato rilasciato dichiarazioni a favore di Putin, e sono sempre stati annoverati tra i suoi sostenitori di ferro. Nel momento stesso in cui l’hanno fatto, diventando loro stessi strumenti spendibili dalla propaganda, hanno trasceso il semplice binomio arte-vita: hanno smesso di essere dei semplici personaggi pubblici per diventare dei simboli. Detto altrimenti, abbiamo a che fare con personalità che hanno già preso una posizione politica, consapevolmente e con forza, e che nel mondo sono viste come una sorta di sua propaggine, anzi: di incarnazione. Possono naturalmente scegliere di dissociarsene, continuare a sostenerla, ci mancherebbe; ma credo sia giusto che si assumano piena responsabilità di contenuti e conseguenze. Nel bene o nel male. A torto o a ragione, appunto.
Anche in questo caso, pur rendendomi conto che la questione è maggiormente controversa, sono convinto di sì: al di là di quanto certe mosse di marketing vogliano farci credere, l’artista non è un’entità disincarnata, ma una persona calata nel mondo, che da esso deve trarre ispirazione e che di conseguenza deve averne e trasmetterne una visione cristallina.
Nel caso specifico è poi necessario considerare un aspetto non banale: entrambi gli artisti hanno in passato rilasciato dichiarazioni a favore di Putin, e sono sempre stati annoverati tra i suoi sostenitori di ferro. Nel momento stesso in cui l’hanno fatto, diventando loro stessi strumenti spendibili dalla propaganda, hanno trasceso il semplice binomio arte-vita: hanno smesso di essere dei semplici personaggi pubblici per diventare dei simboli. Detto altrimenti, abbiamo a che fare con personalità che hanno già preso una posizione politica, consapevolmente e con forza, e che nel mondo sono viste come una sorta di sua propaggine, anzi: di incarnazione. Possono naturalmente scegliere di dissociarsene, continuare a sostenerla, ci mancherebbe; ma credo sia giusto che si assumano piena responsabilità di contenuti e conseguenze. Nel bene o nel male. A torto o a ragione, appunto.
Marco Facchini
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