Ero in cerca di un canto popolare natalizio che non fosse tra i soliti che si sentono in giro, pur molto d’atmosfera, tipo ”Tu scendi dalle stelle” o “Astro del ciel” (“Stille Nacht”). L’idea era di proporlo al coro dei ragazzi della mia parrocchia, che seguo assieme ad una mia amica chitarrista. Dunque ci voleva qualcosa di un po’ ritmato, vivace. Così mi è capitato di imbattermi in un canto popolare che non avevo mai sentito, anche se varie fonti mi dicono che è popolare ancora oggi ed effettivamente, a giudicare dalla quantità di versioni che se ne trovano su youtube, la notizia deve essere vera. Semplicemente io non l’avevo mai sentito.
Il suo titolo è “Angelus ad Virginem”. Alcuni stimano sia stato composto nel XIII secolo. Tuttavia il primo manoscritto che lo riporta è il tropario di Dublino, risalente all’incirca al 1360, dunque forse un secolo dopo la sua composizione. Non se ne conosce l’autore, ma la peculiarità di questo brano è che è a tutti gli effetti una danza, una carola per la precisione. Tuttavia, che sia una danza appare evidente all’orecchio di chiunque, già solo per il suo ritmo, come si dice in gergo, “ineguale” perché giocato su due tempi, uno lungo e uno breve, secondo lo schema ritmico della tripola e, talvolta al contrario, della emiolia (breve+lungo).
Il testo è una ripresa del racconto dell’Annunciazione del vangelo di Luca e il particolare piuttosto divertente è che presenta una sorta di drammatizzazione, in quanto il testo, volendo, può essere cantato alternativamente da voci maschili (che interpretano l’angelo) e voci femminili (che interpretano Maria). Si tratta di una danza strofica, che dal punto di vista melodico dunque non presenta alcun ritornello. Nella tradizione delle carole pare invece che il testo della prima strofa venisse utilizzato come ritornello.
Questa piccola “scoperta dell’acqua calda”, nonché l’ascolto delle varie versioni reperibili sulla rete, mi hanno fatto riflettere. In primo luogo, il fatto che vi siano tutt’oggi interpreti che lo eseguono come se fosse un canto gregoriano senza nessun tipo di strumento la dice lunga sull’incomprensione di cui questa tipologia di composizioni popolari e di cui la musica medievale tendenzialmente continua a soffrire ancora oggi. Proprio per le caratteristiche ritmiche del brano, questa carola esige, pretende brio e invoca un accompagnamento strumentale.
Probabilmente, se io andassi a dire che quest’anno il nostro coro parrocchiale eseguirà un canto medievale, molti penserebbero “Mio Dio, che noia!”. Ovviamente il virgolettato è una arbitraria addomesticazione di quella che potrebbe essere la probabile reazione verbale o mentale.
Tuttavia il motivo di questa lontananza – io credo – non sta tanto nell’ignoranza del pubblico, quanto nella mania seriosa di molti interpreti, per i quali la cosiddetta musica antica e in generale la musica cosiddetta “colta” o annoia oppure non è stata correttamente eseguita. Cos’è questo? Forse un retaggio del vecchio luogo comune insito nell’espressione “Medioevo”, ossia una “età di mezzo” che non ha nulla di valore per cui venir ricordata se non appunto il fatto di essere stata un periodo “di mezzo” tra due epoche? Il Medioevo come “secoli bui”? Credo non si tratti solo di questo, ma anche, più banalmente, di accademismo. L’antichità non è antiquariato. Se si volesse conoscere come è fatta una volpe, ritengo che il modo migliore non sarebbe di cercarne una imbalsamata.
“Eh, ma non c’è scritto che si fa così!”. Non c’è scritto, certo, perché non usavano scriverlo, ma si presume che una danza sia accompagnata da strumenti che diano il ritmo e si presume anche che, se l’iconografia raffigura gli angeli che suonano il liuto o le zampogne in un contesto sacro, forse questo qualcosa dovrà pur significare. Le parti strumentali non erano quasi mai scritte, ma dalle fonti sappiamo che c’erano e che spesso raddoppiavano quelle cantate.
In qualunque epoca siano state composte, le musiche sono nate da persone vive, che non amavano la vita meno di noi.
Chiedetelo ai vari gruppi folk irlandesi che suonano e cantano musica essenzialmente di questo tipo, ritmata, saltellante, e la abbinano a strumenti a corde, a fiato, a percussioni di vario genere. Il folk celtico viene da tradizioni immerse nei secoli andati e il suo intento, pur rinnovandosi, è di mantenerne l’atmosfera e le emozioni.
Se io andassi a dire che quest’anno il nostro coro eseguirà una canzone natalizia presa dalla musica folk irlandese, probabilmente la reazione non sarebbe affatto “Mio Dio, che noia!”.
Così, ecco come faremo: useremo la chitarra, le percussioni, il flauto e le voci… niente organo!
Guido Benigni – Acustica Medievale IF Roma, 27 febbraio 2015
Dico “niente organo”, anche perché ho sentito alcune versioni moderne, con arrangiamenti elaborati e armonie tonali classiche, eseguite con l’organo e col coro che mi sanno tanto di intellettualismo, pur non perdendo l’orecchiabilità del canto stesso. Grazie tante: l’orecchiabilità sta nella melodia che risale ai tempi che furono! Il carattere danzante però in questo modo va completamente perduto… ed è invece proprio quello che vorrei recuperare.
Sulla rete c’è anche una versione per coro e pianoforte, con una introduzione che c’entra come i cavoli a merenda e una certa qual atmosfera da educandato che nulla ha a che vedere con lo spirito di festa e un po’ da saltimbanchi di strada che questa carola in realtà possiede in maniera irresistibile.
Dunque si suoni, si canti e si balli! E buona aria di Natale a tutti