Tra i vari tipi di cornamuse che abbiamo sentito suonare colpiscono questi due modelli tra loro opposti e al tempo stesso strettamente imparentati: una zampogna da concerto di nuova concezione che offre maggiori potenzialità tecniche potendo anche modulare la nota di bordone e quindi auto accompagnare la melodia. Una qualità sonora resa particolarmente squillante e peculiare dall’utilizzo di fibra di carbonio. L’altro tipo invece è la zampogna gigante della Ciociaria: uno strumento di cui si era perso il ricordo e che non veniva neanche più costruito da parecchi decenni. Da pochi anni invece alcuni giovani costruttori si sono appassionati all’idea di riprodurlo e hanno ricominciato a realizzarlo: addirittura una zampogna con cinque canne veramente gigante. Che rapporto c’è fra entrambe? Paradossale: una è più piccola, più “tecnologica” e più squillante; l’altra è molto più grande, fatta con materiali tradizionali e ha un suono incredibilmente più “gentile”. Minimo comune denominatore: la relazione tra modernità e antichità, tra giovani e anziani, fra tradizione e innovazione.
I Boz Trio & Guests hanno saputo trasformare un’antica villa in un luogo di suggestione e di incontro familiare, coinvolgendo la gente, suonando fisicamente “in mezzo” alla gente e illustrando, grazie a Rouben Vitali, il significato e il legame profondo della musica Klezmer con le tradizioni ebraiche. I musicisti letteralmente scalpitavano mentre ancora Erika li stava presentando, con la chitarra che vibrava un tremolo che già spandeva tensione nell’aria, la fisarmonica che sussurrava, pronta a scatenarsi in un clima di festa. Nei momenti più intensi del concerto, Rouben Vitali si è seduto in braccio ad alcune persone e le ha “benedette” appoggiando loro sul capo il clarinetto. Sullo sfondo le parole interroganti di Etti Illesum sulla necessità di essere felici anche nel bel mezzo della tragedia collettiva della Shoah che li stava travolgendo.
“Inner urge”… questo bisogno interiore, insopprimibile di Africa ha palpitato durante la serata in alcuni assoli strumentali di Mauro Colantonio che è riuscito a trasformare quel dannato flauto in un vero animale della giungla, mentre la batteria di Dario Mannu ha dato vita ad una sinfonia di bonghi e djembé.
La fantasia in la minore di Wilhelm Friedemann Bach al clavicembalo che, sotto le sapienti mani di Gian Luca Rovelli, ci ha restituito l’immagine libera e al tempo stesso tormentata di uno dei figli più “maledetti” e “irregolari” del genio di Johann Sebastian. Wilhelm, morto in povertà, semi sconosciuto, e pure capace di accenti e chiaroscuri decisamente preromantici che si adattavano alla perfezione quella sera con le atmosfere neoromaniche della chiesetta di S. Maria Nascente a Cascina de’ Gatti.
Musica di donne, suonata da donne, introdotta da donne nella ricorrenza della Giornata Internazionale della donna. Sorprendenti le trascrizioni di musica latino-americana della pianista e compositrice giapponese Yamamoto, a tratti addirittura “selvagge” con il loro affascinante remake jazz. Di tutt’altro carattere – ma rimane nel cuore – la sua composizione originale, quasi un foglio d’album, “Il cielo visto con te”.
Una recente trascrizione per viola moderna delle suites per viola da gamba e basso continuo di Marin Marais, uno dei più grandi compositori e musicisti che lavorarono alla corte di Versailles. La trascrizione era ancora inedita quando Luca Meschini, Marco Doni e Florian Del Core l’hanno eseguita per noi. Se nel Novecento questa musica è stata riscoperta e ri-suonata, lo dobbiamo a personaggi del calibro di Jordi Savall, che compare anche nel film “Tutte le mattine del mondo”, dedicato a Marais e all’insofferenza del suo maestro ispiratore - e un po’ eremita - Sainte Colombe.
Il clavicembalo ritorna dopo decenni nell’Auditorium “Lina Bodini Mazza” della Civica Scuola di Musica “Gaetano Donizetti” e duella con un pianoforte a coda. Un accostamento non impossibile, guidato dalle parole e dalle riflessioni di Danilo Faravelli, tra atmosfere liriche e colpi di scena andalusi al modo dell’improvvisazione, tra danze pastorali e le “gocce ossessive”, i lamenti senza speranza e il vento sferzante e spettrale del genio di Chopin. Finale imprevedibile: un minuetto del Mozart bambino, anch’egli affetto da solitudine musicale, eseguito contemporaneamente al piano e al cembalo da Erika Ripamonti e Antonio Panzera.
Una serata in famiglia, non seduti intorno a un tavolo per cena, ma davanti al focolare della musica. Carlo Mazzone ci ha regalato emozioni al cembalo e la suggestione delle sue parole che raccontano con umiltà e contro gli schemi un programma incentrato sul genere delle variazioni. Chicca finale: il maestro ci regala una propria “improvvisazione di saluto” dal sapore contrappuntistico come solo un virtuoso della tastiera e una personalità geniale sa fare.
La voce di Kiriko Mori, dolce e delicata, che sa far sentire gli accenti delle parole smorzando sulle sillabe atone con arte ed espressione; lo stupore di Francesco Motta che ci ha raccontato di essere rimasto colpito dall’acustica della chiesa di S. Maria Nascente durante il suo assolo di liuto. La leggerezza di questo strumento, che pesa realmente come una piuma pur avendo una tensione delle corde di alcune decine di kg! E infine il meraviglioso chitarrone o tiorba, vero e proprio emblema del “Recitar cantando” in età barocca.
I contorni indistinti delle cose nel crepuscolo dell’Occidente moderno, l’anima evanescente della Francia di fine Ottocento e inizi Novecento, dove la melodia si perde nelle impressioni e nei riverberi armonici e nulla è come sembra, ma conta solo la superficie dei fenomeni. L’inizio della serata con il brano per flauto solo di Debussy che dà il titolo al concerto suona come la “genesi” ancora asciutta ed evocativa di un mondo multidimensionale che si estende come un’onda nel corso della sera attraverso le illustrazioni di Erika e Alessandra Ripamonti e la scelta delle letture e delle riproduzioni a stampa di alcuni dipinti.
Il teatro, la parola e la musica nell’età barocca. Le voci dirette e struggenti di Silvia Vertemara e Costanza Faravelli che interpretano il Lamento di Arianna, le poche, vivaci e chiare parole di Claudio Monteverdi e l’immediata orecchiabilità delle canzoni di Giulio Caccini, il “Lamento della ninfa” snodato su un basso ostinato, il timbro poetico della viola da gamba di Norma Torti che fa da controcanto alla voce nella magica aria di “Sì dolce è ‘l tormento” e infine il gioco sapiente dei timbri e dei registri in “Dolcissimo sospiro”, con dapprima il duetto voce-viola, poi l’ingresso in sordina del cembalo che sottovoce imita il liuto e infine l’esplosione ritmica e grandiosa dell’ultima sezione.
Quando un coro non ha bisogno di essere accompagnato ed è capace di ipnotizzare e rapire il pubblico, allora siamo di fronte a un vero e proprio miracolo nel senso etimologico del termine: ossia un fenomeno mirabile che fonde antichità e contemporaneità nel variegato repertorio dell’Ensemble Vocale Mousiké. Notevole il cuore del concerto, costituito da “Northern lights”, composizione del giovane musicista norvegese Ola Gjeilo sul Cantico dei Cantici. Abbiamo voluto accompagnare questa atmosfera con le riproduzioni del ciclo di Chagall. Serata indimenticabile e toccante. Nitida e intensa, densa di sfumature la direzione di Luca Scaccabarozzi. Sorprendente il romantico e ironico bis della buonanotte in stile jazz-soul con i coristi che si addormentano l’uno sulla spalla dell’altro.